2014-11-16 09:15:00

Antonella De Gregorio di Corriere.it fa oggi una sintesi, che riportiamo di seguito, del Rapporto sull'Education con il titolo "Italia agli ultimi posti per l'efficacia di insegnamento"

Abbandono scolastico elevato, bassa percentuale di laureati, difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, cordoni della borsa stretti, quando si tratta di investire in istruzione: gli studi comparati confermano che l’Italia arranca. Niente di nuovo, niente di buono. Siamo tra gli ultimi Paesi Ue per qualità ed efficacia di insegnamento, a tutti i livelli. Lo dice un rapporto appena pubblicato dalla Commissione europea (Education and Training monitor 2014). Che riconosce che qualche progresso nell’ultimo anno c’è stato, ma insignificante, se si guardano gli obiettivi di Lisbona. Il 2020 non è più così lontano. Ma i passi che il nostro Paese fa per agganciare quegli obiettivi sono troppo corti. Per esempio, in termini di abbandonoscolastico, la percentuale auspicata è del 10%: siamo ancora al 17% (media Ue 12%) di studenti tra i 18 e i 24 anni che lasciano la scuola senza aver conseguito un titolo di studio. Si tratta di una delle percentuali più alte d’Europa e seconda solo a Grecia (23%), Malta (21%), Portogallo (19%) e Romania (18%). Si laurea il 22,4% degli italiani, mentre il target europeo sarebbe il 40% (la media europea è del 36,9%, in Irlanda e Lussemburgo è del 51; quelle di Italia e Romania le performance peggiori dell’Europa a 28). 

Più o meno dentro la media le competenze base degli studenti in matematica, scienza, lettura (anche se il dato statistico è un riassunto di un segno più al Nord e un segno meno al Sud). Il sistema di valutazione è a dir poco acerbo. La spesa pubblica tra le più basse d’Europa - 4% del Pil a fronte di una media europea del 5,3%. Peggio fanno solo Romania (3,0) Bulgaria (3,5) e Slovacchia (3,8) - soprattutto a livello universitario. Mentre per primaria e secondaria la spesa per studente risulta in linea con quella comunitaria. E quando cercano lavoro, i laureati italiani - in compagnia di greci, spagnoli e croati - sono quelli che fanno più fatica: solo il 49% di chi consegue una laurea in Italia trova un impiego in tempi brevi a fronte di una media europea del 71%. Una situazione peggiore si registra solo in Grecia. Bassa anche la percentuale di giovani coinvolti in attività lavorative durante gli studi. Le nubi si diradano solo quando si valutano lecompetenze alfabetiche e numeriche degli studenti, soprattutto dei primi cicli d’istruzione liceali. Scarse, invece, quelle degli adulti. Con letecnologie, poi, studenti e prof italiani hanno meno confidenza dei colleghi europei.

Passando agli insegnanti, i risultati del rapporto attingono abbondantemente alla rilevazione Talis (Teaching and Learning International Survey) dell’Ocse, che prende in esame professori della scuola secondaria inferiore di più di 30 Paesi ed economie del mondo. Il prototipo italiano è donna, alla soglia dei 50 anni, mediamente soddisfatta del proprio lavoro ma convinta di non godere della giusta considerazione sociale. Tanti precari(18,5% contro una media Talis del 10% e il doppio che in Francia, Norvegia e Svezia). Quasi del tutto assente la valutazione. Carente la preparazione specifica all’insegnamento, così come le attività di formazione continua, aggiornamenti, laboratori: il 38% degli insegnanti è giudicato «non abbastanza qualificato»; più o meno in linea con la media europea come la percentuale (31%) di chi utilizza le nuove tecnologie per il proprio insegnamento, mentre solo il 75% (media europea 85%) sta cercando di acquisire nuove competenze.

 

Francesco SCRIMA, segretario generale CISL SCUOLA, così commenta i dati chiedendo che sui mali della scuola ci sia uno sforzo condiviso

Non ci sono novità o sorprese clamorose nei dati sulla nostra scuola che vengono dalla Commissione Europea. Si confermano purtroppo situazioni già note, a partire da un tasso di investimento in istruzione (4,3% del PIL) che resta da molto tempo più basso rispetto alla media UE (5,3%). Il rischio, ancora una volta, è che ci si limiti al compianto, a pochi e scontati commenti, ad altrettanto scontate polemiche, inutili e sterili se non producono ciò che veramente servirebbe, cioè la capacità di analisi profonde, che vadano alla radice dei problemi e delle loro cause, sicuramente complesse e molteplici. E poi il coraggio di avviare confronti in cui ciascuno sia chiamato a interrogarsi e assumersi la sua parte di responsabilità e di impegno. Le criticità e le difficoltà che la scuola vive e manifesta non hanno cause tutte e solo generate al suo interno. Nessuno può ritenersi “innocente” rispetto alla crisi educativa del nostro tempo.  Non è dunque accettabile, per esempio, che le carenze riscontrate finiscano per essere addebitate esclusivamente all’asserita “scarsa efficacia” dell’insegnamento.  

Che si debba investire di più in conoscenza lo diciamo da tempo, ma non basterebbe solo questo a risolvere tutti i problemi: serve un rinnovato patto di collaborazione e di impegno che veda coinvolti famiglie, ragazzi, insegnanti, politica e istituzioni. Solo su queste basi possono costruirsi e fondarsi progetti di rilancio e di crescita della nostra scuola. Noi siamo disponibili a dare il nostro contributo, ad assumerci le nostre responsabilità nelle sedi in cui si esercita il nostro ruolo: il contratto per noi non rappresenta solo lo strumento per ottenere un doveroso adeguamento retributivo, da sempre è anche occasione per sostenere processi condivisi di innovazione e miglioramento del servizio. Rivendicare il rinnovo di un contratto fermo da sei anni risponde a un interesse di chi lavora, ma rappresenta anche un’opportunità da cogliere e da cui partire anche per dare ai problemi evidenziati dalla Commissione Europea risposte efficaci.

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